Alla riscoperta di un incanto sconosciuto. Intervista a Francesco Vitucci, direttore della collana Arcipelago Giappone di Cristina Marra

La letteratura giapponese appassiona e incuriosisce i lettori italiani, dai romanzi storici, ai gialli, alle fiabe sono tante le opere che l’editoria offre ma è alla scoperta di nuove suggestioni e incanti del Sol Levante che ci conduce Arcipelago Giappone la nuova collana di Luni editrice diretta da Francesco Vitucci. Coordinatore del Corso di Studi in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia
e dell’Africa Mediterranea e professore associato di Linguistica Giapponese al Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, Vitucci racconta a Il Randagio una collana che regala una nuova visione delle produzioni giapponesi scevre da cliché con pubblicazioni marginali, in Arcipelago Giappone è il Giappone stesso a occupare un margine, in quanto protagonista naturale, e non forzato, di un universo letterario che può sopravvivere anche in assenza di fiori di ciliegio, samurai e, più di recente, personaggi che galleggiano in uno sbando postmoderno suggestivo quanto sterile.

Francesco, benvenuto a Il Randagio e complimenti per la tua collana. Con quali obiettivi nasce Arcipelago Giappone e che narrativa propone?
Questa collana nasce dalla ferma convinzione che la letteratura giapponese debba emanciparsi non solo dall’alone esotico che la precede, ma soprattutto dai soliti cliché mediatici che l’hanno trasformata in una bolla di speculazione in cui il lettore attento scoverà una vasta strategia di marketing, poco Giappone e magre tracce di letteratura. Accanto a questa urgenza negativa, che nasce dal lento, puntiglioso scontro con un mercato frettoloso, ce n’è un’altra positiva, forse più ingenua ma senz’altro più sincera: ridare voce a testi che ci piacciono, talvolta marginali a causa di critiche sbadate, e salvarli dopo anni di silenzio. Può sembrare un paradosso, ma il criterio della marginalità è centrale, oltre che terapeutico sotto vari aspetti. Innanzitutto, una letteratura ai margini del mainstream aiuta a evidenziare per contrasto gli ormai noiosi vizi di tutto ciò che è commerciale. In secondo luogo, in Arcipelago Giappone è il Giappone stesso a occupare un margine, in quanto protagonista naturale, e non forzato, di un universo letterario che può sopravvivere anche in assenza di fiori di ciliegio, samurai e, più di recente, personaggi che galleggiano in uno sbando postmoderno suggestivo quanto sterile. In altre parole, vogliamo proporre un vigoroso antidoto all’immaginario che già Italo Calvino, nel 1976, prendeva in giro nell’ottavo incipit di Se una notte dʼinverno un viaggiatore, dove “sul tappeto di foglie illuminato dalla luna” si svolgeva un prototipo di affaire galante giapponese, tanto scabroso quanto rarefatto, in un’elegante residenza circondata da alberi di ginkgo e popolata da esotiche chincagliere che – ci auguriamo! – non troverete nella nostra collana.

Da direttore di collana che scelte fai?
Todorov sosteneva che la letteratura esiste in quanto sforzo di affermare ciò che il linguaggio ordinario non dice e non può dire, e questo è il criterio che ci guida nel cercare autori la cui voce sia ancora chiara dopo un secolo, se non di più. È difficile intraprendere una ricerca di testi validi senza incorrere in accuse di snobismo, ma questa è solo un’altra ricaduta di quel marketing che spaccia per liberalismo la vendita indiscriminata di prodotti abborracciati.
Fatta questa premessa, naturalmente abbiamo dei criteri selettivi autonomi che non nascono da una ripicca verso la grande editoria. Ho piacere di citarne due: l’esitazione del lettore di fronte a un avvenimento straordinario – un sentimento che, tipicamente, è la letteratura fantastica a innescare – e la testimonianza letteraria di eventi eccezionali – siano essi fiction, quindi esperienze del pensiero; reali, ossia esperienze fatte dal vivo corpo degli autori; o un amalgama di questi due orizzonti. La scelta, dunque, non è certo casuale, poiché insinua nel lettore un vivo straniamento, indispensabile a fargli porre due domande molto rare ai giorni nostri: “che cosa ho appena letto?” e, soprattutto, “dov’è finito il Giappone che pensavo di conoscere?”. Crediamo che coltivare questi dubbi sia un importante contributo non solo alla letteratura giapponese, ma anche alla strutturazione di un più ampio atlante letterario in cui il Giappone (altro paradosso!) smetta di essere soltanto un’isola.

Sono già in libreria otto titoli, mi riassumi di che si tratta?
All’attivo abbiamo una piccola, vivace miscellanea. Troverete letteratura fantastica nutrita di folklore (Labirinto d’erba di Izumi Kyōka), testi mitografici intrisi di mistero (Il libro dei morti di Orikuchi Shinobu), toccanti riflessioni sul senso del narrare (La luce, il vento, il sogno di Nakajima Atsushi), testimonianze di lucida, comprensibile follia (L’inferno delle ragazze di Yumeno Kyūsaku), schegge rutilanti di un Giappone ormai scomparso (I miei ricordi del principe Nalin in Un’estate a Zushi, di Tachibana Sotoo), favole struggenti che riguardano chiunque (Favole del Giappone, di Niimi Nankichi), e tanto altro. Insomma, come Bazlen fece già a suo tempo, anche noi, nel nostro piccolo, cerchiamo opere che possano essere considerate il distillato di una conoscenza esperienziale irripetibile, capaci a loro volta di trasformarsi nell’esperienza del lettore, invitandolo tacitamente a una continua metamorfosi.

L’interesse per la cultura e la letteratura giapponese è sempre più in crescita, secondo te cosa incuriosisce i lettori?
Una risposta cinica? Il suo esotismo, che poi è anche la sua debolezza. Ci auguriamo che, negli anni a venire, le letterature dei paesi asiatici come quella giapponese possano essere affrontate anche da un pubblico generalista non più come isole remote di utopico escapismo, ma come un
arcipelago che, a ben guardare, somiglia molto a casa nostra.

Sei docente e traduttore, quali sono le letture fondamentali per entrare pian piano nel mondo letterario giapponese?
Ancora una volta non vorrei peccare di snobismo, ma credo si debba cominciare da ciò che ha preceduto l’ipercontemporaneo. Io, ai tempi in cui ero studente, ero rimasto affascinato da Diario di un vecchio pazzo e La chiave di Tanizaki, ma anche da Il monaco del monte Koya di Izumi Kyōka e da Il padiglione d’oro di Mishima Yukio. Sono gusti del tutto personali, ma credo abbiano contribuito a solleticare la mia personale curiosità verso una letteratura con la quale avevo voglia di “entrare in contatto”.

Cristina Marra

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