Guadalupe Nettel e l’unicità di ciascun essere umano di Gigi Agnano

Sono nata con un neo bianco, che altri chiamano voglia, sulla cornea dell’occhio destro. Sarebbe stato del tutto irrilevante se la macchia in questione non si fosse trovata nel bel mezzo dell’iride, proprio sopra la pupilla che permette alla luce di penetrare in fondo al cervello.
All’epoca i trapianti di cornea sui bambini appena nati non si eseguivano ancora: il neo era destinato a restare lì per vari anni.

Guadalupe Nettel è una talentuosa scrittrice messicana, nata a Città del Messico nel 1973, il cui lavoro è particolarmente apprezzato dal pubblico dei lettori e dalla comunità letteraria mondiale, che le ha attribuito numerosi premi e riconoscimenti.
Nettel ha iniziato con la pubblicazione di racconti che affrontavano tematiche inedite e coraggiose per la società messicana.
Col passare degli anni, anche attraverso il romanzo, Nettel ha continuato a creare storie appassionanti e personaggi complessi, fuori dalla norma. Esplora con grande delicatezza temi come la fragilità, la diversità, la malattia, la maternità. Le sue storie, che sembrano quelle di un’amica o del vicino di casa, raccontano il mistero e il miracolo delle emozioni e delle relazioni umane, le imprevedibilità e le stranezze della vita, l’unicità e la solitudine degli esseri umani sottoposti dalla società o dalla famiglia a condizionamenti o ad opprimenti regimi correttivi.

In particolare, nei racconti di Bestiario sentimentale (2018) e di Petali (2019) s’indaga sul rapporto di reciprocità tra l’uomo e, rispettivamente, il regno animale e vegetale. I pesci rossi, i gatti, un fungo, un serpente, gli scarafaggi che ingaggiano una lotta, un cactus finiscono per interagire emotivamente con i protagonisti umani. In questo è evidente il riferimento a Kafka o all’axolotl di Cortàzar: “In generale, si impara molto dagli animali con cui conviviamo, pesci compresi. Sono una specie di specchio che riflette emozioni o comportamenti celati che non abbiamo il coraggio di vedere.”

In La figlia unica (2020), che è probabilmente il suo romanzo più riuscito, si parla dell’approccio assolutamente diverso di tre donne all’esperienza della maternità. La Nettel sembra ci dica che non c’è alcuna stranezza o difetto, anzi, che piuttosto ci sia bellezza nel loro essere per una qualche ragione “inadeguate” per il comune buon senso.
“Vedo questo neonato che dorme avvolto nella sua tutina verde, con il corpo completamente rilassato, la testa di lato sul piccolo guanciale bianco, e desidero che rimanga vivo, che nulla perturbi il suo sonno e neanche la sua vita, che tutti i pericoli del mondo stiano lontani da lui, e
che il vento impetuoso delle catastrofi lo ignori nel suo passaggio distruttivo. «Non ti accadrà nulla finche sarò con te» gli prometto, pur sapendo di mentire, perché in fondo sono impotente e vulnerabile quanto lui.”

In Il corpo in cui sono nata (2022) la protagonista racconta alla psicanalista un difetto agli occhi che ha segnato la sua infanzia. Per descrivere le ossessioni e le torture subite dai familiari, che peraltro, a causa di una scoliosi, la chiamano “scarafaggio” o più affettuosamente “scarafaggino” o “dromedario”, dice: “Sembrava che i miei genitori considerassero l’infanzia come una tappa
preparatoria durante la quale si devono correggere tutti i difetti di fabbrica con cui si è venuti al mondo, e prendevano quest’impresa molto sul serio.”

Il titolo dell’ultima pubblicazione è La vita altrove (2023), una raccolta di racconti tutti scritti durante o immediatamente dopo il lockdown. Il titolo originale è Los divagantes, I vagabondi, che forse rende meglio l’inquietudine dei protagonisti degli otto racconti, uomini e donne fragili, ma che resistono alla ricerca frenetica di altre possibilità di vita al di là di una frontiera non geografica, ma evidentemente esistenziale. “All’inizio il riposo mi faceva bene, ma a un certo punto mi sono accorta che ogni giorno volevo dormire di più, ingordamente, non perché ne avessi bisogno, solo perché i sogni erano la cosa più interessante che accadeva nella mia vita.”

In tutti i suoi lavori, narrati sempre in prima persona, la Nettel ha la capacità rara di creare una relazione intima col lettore, catturandolo dalla prima pagina e sollecitandolo per tutta la lunghezza del libro ad un lavoro di scavo fino agli anfratti più bui dell’anima. È una scrittrice della quale di pagina in pagina si diventa amici per lo stile narrativo unico e affascinante. Le sue parole sono fluide, poetiche, suggestive, coinvolgenti; la scrittura è spoglia, priva di aggettivi, limpida, spesso ironica, a volte drammatica e spietata. Ed è audace e innovativa, mescolando, in particolare nei racconti, l’iper-realismo con un accenno alla dimensione fantastica.
L’importanza di Guadalupe Nettel risiede anche nella freschezza, nell’ironia e nell’originalità della sua voce letteraria, che la rende una presenza vitale e innovativa nel panorama letterario contemporaneo o, come ha detto Enrique Vila-Matas, “una voce essenziale della nuova letteratura latino-americana”.
In Italia, le opere della Nettel, tradotte da Federica Niola, sono pubblicate da La Nuova Frontiera.

Gigi Agnano

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